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La produzione italiana di Canapa, un patrimonio perduto

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Ai più non sembrerà vero, ma una volta nelle nostre campagne si coltivava la canapa e molti di quei prati dove veniva seminata o lavorata, ancor oggi hanno il nomignolo che lo ricorda: termini come Canuèe, Canvale, Canavè, Canevall, Cànüf che poi è il suo nome dialettale.

In Piemonte vi è il Canavese, così detto per essere stata, la canapa, diffusissima in passato. Con essa si facevano lenzuola, vestiti, asciugamani, sacchi, corde, vele per navi, combustibile, carta e farmaci naturali. Le sementi, invece, venivano usate dai cacciatori come mangime per attirare gli uccelli al roccolo.

Coltivare la canapa era un’attività che dava guadagno, ma per poterla praticare ci voleva il terreno adatto e tutta un’attrezzatura, con appositi macchinari; e comunque era un lavoraccio, motivo per cui non erano molti i ‘canüfat’. La canapa era una pianta erbacea simile alla canna che si seminava in primavera, arrivava a crescere oltre i due metri e dopo due o tre mesi, passata la fioritura, si tagliava al piede, la si stendeva al sole per far seccare le foglie così che si staccassero facilmente, poi la si metteva a macerare in pozze d’acqua stagnante dette ‘borghi’.

Si lasciava a bagno tenendola immersa con qualche peso, per due o tre settimane, rastrellando via giornalmente le scorie che marcivano. Per questo motivo puzzava parecchio di putrido. Quando era macerata, tolta la corteccia, la fibra che rimaneva la si lavava in acqua corrente e la si lasciava asciugare.

Di seguito si batteva con una particolare tecnica per eliminare ogni scoria e ricavare una stoppia, una matassa grigiastra come una coda di cavallo che andava cardata con pettini sempre più sottili fino a essere ridotta a filamenti. Se ne ricavava una specie di batuffolo di cotone che si filava con il fuso, come la lana. Poi si tesseva in casa.

Nei nostri paesi c’erano molti telai e qualche famiglia ne aveva anche di grandi abbastanza per fare lenzuola, altrimenti si cucivano tra loro i teli. Era di un colore bianco spento e per sbiancare le pezze, le si faceva bollire con la cenere e poi asciugare al sole. La stoffa che si ricavava era detta ‘tela di casa’: era resistente, piuttosto ruvida e gli indumenti erano adatti all’estate perché freschi anche se pizzicavano un poco, ma col tempo e i lavaggi si ammorbidivano. Si poteva lavorarla mischiata al lino, più morbido, che si produceva nella stessa maniera, oppure anche con la lana e allora diventava fustagno.

La canapa è stata usata in tutti i continenti fin dai tempi preistorici e per migliaia e migliaia di anni è stata una preziosa alleata del genere umano finché, con il diffondersi della grande industrializzazione, quasi all’improvviso scomparve. In Italia è stata coltivata fino alla Seconda Guerra Mondiale quando, accogliendo le normative degli americani sbarcati nella penisola che ne avevano vietata la coltura perché considerata una droga (la marijuana) anche da noi venne messa al bando. Si deve sapere, però, che ci sono due tipi di canapa o cannabis: la ‘sativa’, che serve per la fibra, e quella ‘indiana’ che, fumandola, ha effetti psicoattivi. Da noi c’era quella ‘sativa’ e nessuno si era mai sognato di fumarla.

Pare che negli USA fosse stata proibita per interessi economici dei grandi industriali della carta, della chimica e del petrolio. I primi perché, speso un capitale per acquistare intere foreste in Amazzonia e dovendo mettere a profitto il loro patrimonio, presero a produrre carta con legname e cellulosa anche se molto più costosa che non quella ricavata dalla canapa. I chimici e i petrolieri per sopraffare la concorrenza della canapa dalla quale si sono sempre ricavati ottimi farmaci naturali e carburanti, molto meno inquinanti del petrolio.

Fu così che per salvaguardare i loro enormi interessi, questi magnati, molti dei quali governatori, deputati o ministri, impossessatisi dei maggiori mezzi di informazione, scatenarono una grande campagna contraria alla canapa, facendo passare solo il messaggio negativo legato alla droga, esagerandone gli effetti degenerativi e i comportamenti delinquenziali di chi ne faceva uso. Ora sembra che, con i dovuti permessi non certo facili da ottenere, qualcuno abbia ricominciato a coltivare la canapa ‘sativa’ per produrre farina, oli, candele, per uso medico e pure come carburante … petrolieri consentendo.

 Luinonotizie.it – Mario Catania

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