Il primo fu il matematico Guido Castelnuovo nel 1948. L’ultima, oltre settant’anni più tardi, potrebbe essere Liliana Segre. Il governo Meloni è infatti determinato ad abrogare quell’unicum tutto italiano che sono i senatori a vita. Nel pacchetto delle riforme costituzionali che saranno discusse oggi a Palazzo Chigi durante il vertice di maggioranza convocato da Giorgia Meloni per finire poi nel successivo cdm, non c’è infatti solo la formulazione del tanto discusso premierato elaborata dalla ministra Elisabetta Casellati dopo i ripetuti confronti con i partiti ma anche – com’è in grado di anticipare il Messaggero – una norma che fa decadere l’istituto della nomina dei senatori a vita previsto dall’articolo 59 della Costituzione. Se la riforma dovesse arrivare a compimento – cosa che più e più volte non è accaduta – non sarebbe cioè più consentito al Presidente della Repubblica di indicare per il Senato donne e uomini che si sono distinti per aver «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».
Fatta salva la possibilità di Sergio Mattarella di nominarne altri da qui all’effettiva entrata in vigore del testo (al momento sono 5, ma l’interpretazione su quanti debbano essere è notoriamente complessa), gli ultimi senatori sarebbero quindi sarebbero l’ex premier Mario Monti, la ricercatrice Elena Cattaneo, l’architetto Renzo Piano, il fisico Carlo Rubbia – tutti nominati da Giorgio Napolitano – e, appunto, la superstite dell’Olocausto Liliana Segre, nominata invece da Mattarella. A scanso di equivoci, precisa però una fonte che ha seguito da vicinissimo la stesura dell’ultima versione del testo, a tutti spetterebbe ovviamente il diritto di portare a termine il proprio mandato.
Verrebbe invece preservato l’automatismo che prevede un seggio da senatore a vita per gli ex presidenti della Repubblica che hanno terminato il proprio mandato. Per cui spetterebbe in ogni caso un seggio a Mattarella che, per ora, non si è espresso in alcun modo sulla riforma impostata dal governo. Del resto l’iter è ancora lunghissimo, e già in passato riforme più articolate sono finite in un nulla di fatto.
I Precedenti
Il ruolo però resta da sempre molto contestato. Se è vero che solo in tre hanno rifiutato la nomina (Arturo Toscanini, Nilde Iotti e Indro Montanelli) e che l’assenteismo di alcuni ha spesso fatto storcere il naso (il senatore Piano ad esempio non ha partecipato a nessun voto in questa legislatura), lo è anche che i senatori sono più volte risultati determinanti nella storia recente. Nel 2006 il secondo governo Prodi ad esempio, nacque proprio grazie al voto di 6 senatori a vita su 7. Nel ‘94 invece, risultarono quasi determinanti alzando il quorum di maggioranza per la fiducia al Berlusconi I.
Non a caso il tema è stato affrontato da almeno una decina di disegni di legge costituzionale. Nel 2010 ad esempio l’ex capo dello Stato Francesco Cossiga (che durante il suo mandato ne nominò ben cinque interpretando in maniera estensiva la norma) si fece portavoce di un testo del centrodestra spiegando come l’istituto dei senatori a vita potesse «creare gravi distorsioni politico-istituzionali» nel caso di maggioranze parlamentari deboli. Una tesi condivisa dall’attuale premier che già nel 2019 si scagliò contro la scelta del governo M5S-Lega che decise di ridurre il numero dei parlamentari senza intervenire in tal senso. «Assurdo che in Italia ci sia ancora la figura ottocentesca dei “senatori a vita”, persone nominate a piacere dal Presidente della Repubblica, per di più anche lui non scelto dal popolo, che rimangono parlamentari per il resto dei loro giorni» si legge sul profilo Facebook di Meloni in un post che oggi lascia intendere a pieno a chi spetti la paternità politica dell’iniziativa.
Fonte: IlMessaggero – Francesco Malfetano – 30 Ottobre 2023