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La nuova frontiera dell’hi-tech ora è Leggere il Pensiero

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Sempre più ambite dalle aziende tech ma ancora poco conosciute al grande pubblico, le neurotecnologie – cioè tutte quelle tecnologie che mettono in contatto il cervello e il sistema nervoso umano con un computer per analizzare l’attività cerebrale – pian piano si stanno spostando dal settore biomedico verso il mercato dei consumatori. Emerge di pari passo una nuova frontiera della privacy, quella mentale, mentre tutt’intorno si rincorrono gli appelli di analisti e ed esperti spaventati dall’idea che i recenti progressi nelle neuroscienze e nell’IA (che rende infinitamente più snella la decodifica dei segnali cerebrali), in mancanza di tutele adeguate, possano condurci verso l’era della sorveglianza mentale continua. Ed ecco che il tema entra di prepotenza anche nella scaletta del legislatore americano.

Mercoledì scorso il governatore del Colorado Jared Polis ha firmato un nuovo disegno di legge che, per la prima volta negli Stati Uniti, estende i diritti sulla privacy anche ai dati neurali. La nuova legge (intitolata “Protect Privacy of Biological Data Act”) amplia la definizione di “dati sensibili” contenuta nell’attuale normativa sulla privacy per includere anche i dati neurali generati dal cervello. «I cosiddetti “dati neurali” sono estremamente sensibili e possono rivelare informazioni intime sugli individui, comprese quelle sulla salute, sugli stati mentali, sulle emozioni e sul funzionamento cognitivo», si legge nel testo. Jared Genser, cofondatore della Neurorights Foundation – che ha sostenuto l’approvazione del ddl – ha dichiarato che i dati elaborati dalla neurotecnologia consumer rimangono in gran parte non regolamentati, a differenza invece di quanto accade con quelli ottenuti da dispositivi medici in ambienti clinici sensibili. L’intervento del Colorado gioca d’anticipo in un settore che sta crescendo a ritmi vertiginosi: il mercato globale delle neurotecnologie accelera a un tasso annuo del 12% e si prevede che raggiungerà i 21 miliardi di dollari entro il 2026.

La lettura tascabile del pensiero
La direzione è chiara: il mercato tech vuole rendere tascabile la lettura del pensiero. Negli ultimi mesi si è parlato tanto di Neuralink, l’azienda di Elon Musk che ha impiantato con successo il primo chip cerebrale su un paziente tetraplegico, consentendogli di comunicare con un “pc” usando il pensiero. Ma sono sempre di più le aziende tech che hanno iniziato a integrare interfacce neurali in orologi, cuffie, auricolari e visori VR. Gli auricolari MN8 di Emotiv riescono a misurare scientificamente il livello di attenzione dei dipendenti in ambiente di lavoro, mentre le cuffie Unicorn dell’austriaca G.Tec consentono di valutare la risposta emotiva degli utenti alle inserzioni pubblicitarie.

Apple ha depositato una domanda di brevetto per aggiungere sensori elettroencefalografici che rilevano l’attività cerebrale ai suoi auricolari wireless AirPods. Gli studi condotti dalla Neurorights hanno mostrato però come le aziende che operano nel settore spesso raccolgano più dati di quelli necessari per il funzionamento dei loro gadget. Secondo la fondazione, la maggior parte delle aziende consente anche la condivisione dei dati neurali raccolti con terzi di cui si sa poco o nulla. Certo è una tecnologia che può avere anche risvolti sociali positivi. In settori come l’edilizia, l’autotrasporto e l’aviazione, gli apparati neurotecnologici – monitorando il ciclo sonno veglia – garantiscono che i dipendenti siano sempre all’erta, scongiurando così incidenti che potrebbero avere conseguenze disastrose. Ma i pericoli di un uso sconsiderato di questa tecnologia potrebbero aumentare di pari passo con la sua efficacia.

Gli eccessi del mercato
«Prima o poi un’azienda venderà stimolatori magnetici per migliorare la memoria – ha affermato il direttore del Neurotechnology Center della Columbia University, Rafael Yuste – e questo consentirà di manipolare l’attività cerebrale, non solo di registrarla». C’è poi il problema della sicurezza, con device attivi h24 che trasmettono i nostri pensieri in un etere sempre più popolato di cybercriminali. Ma c’è un rischio ancora più grande all’orizzonte. Oggi Big Tech ci ha anestetizzato all’idea che i nostri dati personali possano essere usati come moneta di scambio sulle vetrine del web. In mancanza di una sensibilizzazione adeguata dell’opinione pubblica, il rischio con le neurotecnologie è lo stesso, e cioè che l’ultimo bastione della nostra privacy non verrà forzato dall’hacker di turno ma che alla fine saremo noi stessi, dietro il giusto incentivo, a cederne spontaneamente la chiave.

Fonte: IlMessaggero – Raffaele d’Ettorre – 23 Aprile 2024

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