Forse non tutti sanno che negli anni il governo norvegese ha costantemente offerto ai propri cittadini massicci sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici. Così come è probabilmente poco noto che gli automobilisti green dei Fiordi siano stati esentati dal pagamento di qualsiasi pedaggio (sia stradale che per l’uso del traghetto), abbiano avuto la possibilità di utilizzare le corsie preferenziali degli autobus e di usufruire di parcheggi e ricariche gratuite. Non solo. Perché a Oslo i veicolo a batteria sono «liberi» dal pagamento dell’iva e da diversi oneri che invece pesano su chi guida un auto diesel o benzina.
Oggi, alcune di queste facilitazioni, sull’onda di una protesta popolare che evidenziava come gli incentivi favorissero soprattutto le fasce ricche della popolazione, sono state eliminate. Ma in media si calcola che i sussidi per le vetture «ecologiche» ammontino a circa 8.000 euro ad auto all’anno. Un salasso per i conti dello Stato. Del resto la Norvegia (Pil pro-capite di 106.000 dollari nel 2022) è ricchissima e a oggi è uno dei Paesi che può vantare il più alto tasso di veicoli elettrici circolanti: il 20% del totale del parco auto. Non a caso i politici verdi di qualsiasi latitudine sono soliti parlare di modello norvegese.
Ecco perché potrebbe andare loro di traverso la lettura di un report pubblicato da Rivista Energia, il trimestrale fondato e diretto dall’ex ministro Alberto Clò, che prende come riferimento l’analisi di Leigh R. Goehring e Adam A. Rozencwajg, team che investe in risorse naturali da oltre 30 anni, e che arriva a un risultato per certi versi clamoroso: il grande sforzo, anche finanziario, del modello green norvegese, alla fine dei conti, ha partorito un topolino. Sono infatti davvero irrisorie le riduzioni di emissioni nocive realizzate da una strategia ambientalista senza se e senza ma e che si è poggiata fondamentalmente su cospicui sussidi pubblici.
Venute meno alcune agevolazioni sono, infatti, calate anche le vendite. Il problema però è che gli Ev (i veicoli elettrici, appunto) hanno avuto un’influenza quasi impercettibile rispetto alla domanda di petrolio e alle emissioni di carbonio che sono diminuite in quasi 15 anni (dal 2010) di circa il 15%, ma non certo per merito delle vetture «verdi».
«Dal 2010», si legge nell’articolo, «la domanda totale di petrolio in Norvegia si è ridotta di soli 34.000 barili al giorno. Benzina e diesel hanno pesato per circa il 10% rispetto a questa contrazione, mentre sono risultati determinanti il calo della domanda di riscaldamento, illuminazione e petrolchimica che stimiamo sia crollata di oltre un terzo». Insomma, nonostante il 20% di tutti i veicoli in circolazione in Norvegia sia elettrico, la domanda di benzina e diesel a Oslo e dintorni è diminuita solo del 4%».
Perché? «I nostri dati», si legge ancora nella ricerca, «suggeriscono che i norvegesi sono riluttanti a rinunciare ai propri veicoli Ice (internal combustion engine), anche dopo aver acquistato un modello elettrico. Calcoliamo che due terzi delle famiglie norvegesi che possiedono un modello Ev abbiano almeno anche un veicolo a combustione».
Dal 2010 al 2022, in Norvegia è di certo aumentato il numero di veicoli elettrici (si è arrivati a quota 550.000), ma al tempo stesso è cresciuto quello delle vetture diesel o benzina in circolazione, con un incremento di 32.630 unità. Morale della favola: mentre la popolazione saliva dell’11%, il numero totale delle autovetture ha avuto un’impennata del 25%. Con la cristallizzazione di un fenomeno paradossale rispetto agli obiettivi delle strategie green: «Quando una famiglia preferisce evitare un pedaggio stradale», si legge nell’analisi, «o il costo del traghetto, avere accesso a parcheggi o tariffe gratuite, o evitare la congestione utilizzando le corsie riservate agli autobus, utilizza il proprio veicolo elettrico, mentre quando va nelle case di montagna, usa l’auto tradizionale». Più macchine per tutti insomma.
Al di là dei numeri, la lettura dell’articolo di Rivista Energia dovrebbe preoccupare e indurre qualche riflessione anche nei più ostinati sostenitori degli Angelo Bonelli & C. che vanno per la maggiore in Europa. Perché mina le fondamenta della strategia sulle auto green portata avanti a Bruxelles: da un lato infatti evidenzia che la rivoluzione delle auto elettriche fallirà perché sono meno efficienti dal punto di vista energetico. «Basti pensare», si legge, «che molti studi non considerano che un veicolo elettrico consuma 32 kilowattora di elettricità ogni 100 miglia percorse, certo, ma per produrre una batteria servono 24 megawattora. Supponendo una vita utile di 120.000 miglia, la batteria consuma 20 kilowattora per 100 miglia percorse, due terzi della stessa energia elettrica diretta». Dall’altro perché, come visto, nonostante i grandissimi sforzi economici, le riduzioni di emissioni globali di carbonio sono davvero insignificanti.
Al punto che un po’ tutti gli attori in campo, dai consumatori (le vendite sono in calo) alle case che producono e utilizzano l’automotive (Stellantis, Volkswagen, Ford, Hertz), si stanno ponendo il problema. Manca solo il mea culpa di Bruxelles.
Fonte: QUI – Autore: Tobia De Stefano – 25 Luglio 2024