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Come farci DERUBARE dai Cinesi e vivere “felici”

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Venezia 13 Aprile 2022 –  Imprenditori cinesi, negli ultimi 20 anni hanno evaso in Veneto due miliardi di Euro. Una montagna di soldi che gli amministratori veneti si sono fatti scappare.

L’incapacità gestionale e le mancate richieste di idonee garanzie fidojussorie, agli imprenditori cinesi per aprire attività commerciali, ricadono ancora una volta sui contribuenti italiani.
Due Miliardi di Euro nella sola Regione Veneto, la dicono lunga su chi ci governa. Altro che moneta digitale. Se degli amministratori si fanno buggerare sotto il naso in maniera continuativa, devono lasciare la cosa pubblica e devono andare in galera.


Con l’occasione vi riproponiamo un articolo dello scorso anno di Gianluca Amadori pubblicato sul Gazzettino che spiega bene il fenomeno cinese della illegalità in Italia.

­­­­­­­­­­­­­­­VENEZIA 19 Settembre 2021 – «È un fronte aperto quello dell’illegalità legato alla presenza cinese in Italia: un fenomeno ancora troppo sottovalutato, che si muove sottotraccia e preoccupa oggi più che mai, alla vigilia dei consistenti fondi in arrivo per la ripresa post Covid, ai quali stanno già mirando i gruppi criminali».
Il generale Bruno Buratti, Comandante dell’Italia nord-orientale della Guardia di Finanza, inquadra così la situazione relativa alla criminalità di etnia cinese dopo l’operazione sulle false fatture per ottenere i rimborsi conseguenti all’aqua granda del 2019.
«La penetrazione economica cinese nel tessuto imprenditoriale italiano è chiaramente percepibile nei contesti cittadini e nei distretti manifatturieri – sottolinea il generale – Basta guardarsi intorno a Venezia: bar, ristoranti, negozi di pelletteria e di abbigliamento low cost, una vera e propria esplosione nell’ultimo decennio».
Secondo Buratti siamo di fronte ad un insediamento che risponde ad una precisa «strategia di posizionamento economico» in aree di particolare rilievo sul piano produttivo e/o commerciale, funzionale tra l’altro alla creazione di un canale di sbocco privilegiato in Italia di merci e prodotti realizzati in Cina. Fino a qui tutto lecito. Ma a quanto pare non tutto è così.

ILLEGALITÀ DIFFUSA
«In questo contesto molto fluido, non mancano i fenomeni di illegalità, legati all’evasione fiscale, allo sfruttamento della manodopera, al riciclaggio, alla commercializzazione di prodotti irregolari e, come dimostrato dall’ultimo servizio del Comando Provinciale di Venezia, anche all’indebita percezione di fondi pubblici», precisa Buratti, evidenziando una serie di dati che rivelano una situazione fortemente sospetta.
A fronte di poco più di 42 mila cinesi residenti in Veneto, vi sono 15mila partite Iva, di cui quasi 7500 attive, caratterizzate da un frenetico “apri e chiudi”: il 70 per cento non sopravvive più di tre anni, e chiude dopo soli 12 mesi. «Un così rapido turnover favorisce la possibilità di sfuggire ai controlli da parte del Fisco», spiega il Generale, ricordando che il 55 per cento delle 9 mila dichiarazioni dei redditi presentate da cittadini cinesi residenti nella regione è pari a zero; il 20 per cento inferiore ai 6mila euro e soltanto il rimanente 25 per cento superiore ai 6mila euro.
E ancora: Buratti rivela che a carico di circa 8mila soggetti economici di etnia cinese sono iscritti a ruolo debiti fiscali pari a due miliardi di euro. «Siamo di fronte ad un sistema organizzato, particolarmente “aggressivo”, che ricorre alla concorrenza sleale per essere competitivo ed inserirsi nel mercato, avvalendosi di ampie disponibilità di denaro contante; che gode di radicati contatti con la Cina e non di rado con le disponibilità “liquide” finanzia altre organizzazioni – spiega – Gli espedienti utilizzati non sono particolarmente originali, né raffinati: ciò che colpisce è l’ampiezza del fenomeno, la scala industriale degli illeciti».

LE FRODI
Negli ultimi anni alcune indagini hanno svelato i principali meccanismi delle frodi. Nel 2019 le Fiamme gialle di Venezia hanno fatto luce su un’agenzia di viaggio riconducibile ad un soggetto di origine cinese collegata ad una rete di operatori commerciali del centro storico di Venezia, presso i quali gruppi di turisti orientali venivano sistematicamente condotti da dipendenti dall’agenzia per stimolarne gli acquisti. Il giro d’affari complessivo di acquisti presso gli esercizi convenzionati in 2 anni è stato ricostruito in 31 milioni di euro, a fronte dei quali il titolare dell’agenzia coinvolta ha incassato in nero più di 2 milioni di euro di provvigioni.

RICICLAGGIO
A Portogruaro la primavera scorsa è stata denunciata un’attività di riciclaggio di denaro frutto di evasione fiscale: attraverso flussi di false fatturazioni verso società di comodo estere, alcuni imprenditori nazionali operavano il trasferimento verso la Cina di denaro che, successivamente, gli stessi imprenditori recuperavano in contanti da emissari della criminalità cinese del padovano, precostituendosi fondi neri da impiegare per fini personali o per alimentare altri circuiti di evasione o lavoro nero. Lo stesso schema contestato a Trieste ad aziende italiane attive nel commercio di metalli ferrosi che, attraverso una pluralità di società dell’Est Europa, aventi il ruolo di cartiere, coprivano vendite “in nero”.
La Guardia di Finanza ha scoperto anche episodi di lavoro in nero, come nel caso di un tomaificio della Riviera del Brenta, gestito da un cittadino di nazionalità cinese che, ispezionato dalla Compagnia di Mirano con gli Ispettori dell’Inps, è risultato impiegare 18 lavoratori irregolari e 10 completamente in nero, alcuni dei quali clandestini. Contestati 70mila euro di contributi evasi in soli 9 mesi di attività.

PRESTANOME
Per quanto riguarda il fenomeno delle società “apri e chiudi”, vale a dire di quelle imprese programmate per sparire in breve tempo dopo aver frodato il fisco, sintomatici sono i casi scoperti tra Adria e Cavarzere, dove una serie di ditte individuali operanti nel settore tessile si sono succedute nell’arco di 7 anni allo stesso indirizzo con una girandola di prestanome, chiudendo sistematicamente entro il terzo anno di vita utile senza aver versato alcuna imposta.
«I soldi guadagnati venivano versati su conti correnti di altri prestanome per poi essere dirottati in Cina. Se non fosse stato per l’intervento dei finanzieri di Adria e della Procura di Rovigo, che hanno sequestrato beni e valori per 700 mila euro, il Fisco non avrebbe recuperato nulla, visto che i destinatari delle cartelle erano di fatto nullatenenti o irreperibili», precisa il generale, ricordando che dei 2 miliardi di debito iscritto a ruolo nel corso degli anni a carico di imprenditori cinesi, è stato recuperato appena il 2 per cento.

CONTRAFFAZIONE
Per finire la contraffazione: «I numerosi controlli eseguiti nel Triveneto hanno consentito di sequestrare nel corso del 2020 oltre 23,7 milioni di prodotti non conformi e/o non sicuri di origine cinese, per la maggior parte costituiti da abbigliamento e relativi accessori, cosmetici, articoli di bigiotteria, giocattoli, prodotti elettrici ed elettronici, mascherine e dispositivi di protezione individuali, per un valore commerciale complessivo stimato in 103,8 milioni di euro – ricorda Buratti – È stato possibile accertare strutturati sistemi di frode internazionali riconducibili a soggetti economici di origine cinese, con creazione di società “cartiere” in numerosi Stati europei utilizzate per sdoganamenti e importazioni di merce proveniente dalla Cina a valori irrisori e in evasione dei diritti doganali, successive operazioni di cessione intracomunitaria con meccanismi tipici delle “frodi carosello” e la realizzazione di circuiti di fatture false per evadere Iva e imposte in Italia in favore dei destinatari finali delle merci, i quali hanno vita facile nel “vestire” di italianità prodotti di scarsa qualità realizzati altrove».
Il tutto dietro lo schermo di un numero assai consistente di prestanome. «Di fronte a fenomeni così diffusi non è sufficiente la repressione – conclude il generale – Sono necessari interventi normativi per rendere più difficile l’apertura di società a persone che in precedenza hanno operato in maniera non corretta».

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