Dopo il crollo di Wall Street del 1929, una crisi finanziaria devastante erode i risparmi delle persone, compresi gli italiani. A farne le spese è pure il mercato nazionale dell’auto che crolla dalle 33.436 immatricolazioni del 1929 alle 14.760 consegne del 1931. Un calo che fa precipitare il fatturato di Fiat, costretta a licenziare parte degli operai e a ridurre lo stipendio del 7-8% ai fortunati che rimangono in fabbrica. Una decisione dura necessaria per salvare l’azienda fino all’arrivo di momenti più propizi. Che potrebbero giungere presto. La dirigenza di Torino sta da tempo sviluppando una nuova utilitaria per sostituire la 509. Un modello che, nelle intenzioni dei responsabili Fiat, dovrà motorizzare l’Italia, che ha una popolazione di 41,2 milioni e dove ci sono soltanto 188.000 vetture in circolazione, una ogni 220 abitanti. E per farlo si sceglie una ricetta semplice, almeno negli intenti: la futura auto deve essere comoda e affidabile, avere manutenzione ridotta e costare poco.
Il compito di progettarla è affidato due gruppi di ingegneri, uno diretto Oreste Lardone e l’altro affidato a Antonio Fessia e Tranquillo Zerbi. Dopo che il prototipo con un bicilindrico raffreddato ad aria e trazione anteriore pensato da Lardone prende fuoco durante un collaudo, la dirigenza Fiat opta per la più tradizionale impostazione prevista dal collaudato duo Fessia-Zerbi. Con loro collaborano allo sviluppo della futura utilitaria alcuni ingegneri di indubbio valore, come Bartolomeo Nebbia per lo studio del motore, Votta e Martinotti per il telaio e Rodolfo Schaeffer per la carrozzeria. Tra loro pure un giovanissimo ingegnere da pochi anni in azienda, ma già nominato a capo ufficio tecnico per le indubbie abilità mostrate. E’ Dante Giacosa, colui che firmerà i più importanti modelli del marchio fino agli anni Settanta, dalla Topolino alla Nuova 500, dalla 1100 alla 124, dall’ammiraglia 130 alla sportiva Dino. La squadra di tecnici si mette al lavoro alacremente e in breve il primo prototipo è pronto. E’ il 27 settembre 1931 e sull’innovativa pista prova ovale posta sul tetto del Lingotto la nuova vettura compie i suoi primi passi con la sigla 508. Una denominazione che si arricchisce presto del suffisso Balilla, lo stesso dell’Opera Nazionale istituita dal regime nel 1926 per formare lo spirito, la cultura e il fisico dei giovani ragazzi italiani. Una scelta, come vedremo, voluta per “sedurre” il Duce in cambio di favori.
L’8 aprile 1932, a pochi giorni dal debutto della 508, Agnelli si reca con il figlio Edoardo, il direttore generale di Fiat Vittorio Valletta a Villa Torlonia per presentare a Mussolini la nuova utilitaria. Con loro c’è l’asso del volante Felice Nazzaro che ammalia il Duce con le giuste parole: “tecnici e maestranze hanno ideato e costruita questa vettura per meritare la fiducia che Vostra Eccellenza volle ad essi attestare auspicando quell’ulteriore progresso nella tecnica costruttiva e nella riduzione dei costi che consentisse l’automobile sempre più adeguata alle possibilità degli italiani. La Balilla verrà messa in vendita prossimamente a prezzi così modici da renderla accessibile a vasti ceti professionali e popolari nuovi all’automobilismo. Perciò si può sperare che questa vettura italiana giovi al Paese col favorirne quello sviluppo automobilistico che è un elemento non trascurabile della moderna economia ed è condizione necessaria alla ripresa e prosperità del lavoro. Fidente nell’avvenire, col nome glorioso della giovinezza fascista, anche la Balilla vuole seguire il comandamento del Duce: essa va verso il popolo”. Mussolini, dopo averla guidata, esprime il compiacimento ad Agnelli elogiando “l’eleganza, la robustezza e la modicità di prezzo della Balilla, la quale risponde brillantemente ai requisiti di macchina utilitaria per l’automobilismo del popolo”. E da abile stratega concede l’agognato provvedimento che esenta dal pagamento della tassa di circolazione fino al 30 giugno 1933 a tutte le “utilitarie nazionali con motore fino a 12 cavalli fiscali e di prezzo non superiore alle 12.000 lire”. Vincoli creati su misura per la 508 che valgono ai futuri possessori un risparmio di 250 lire, quasi uno stipendio dell’epoca.
Il 12 aprile la 508 Balilla fa il suo debutto ufficiale al quinto Salone dell’automobile di Milano organizzato dall’Associazione Nazionale Fascista. Una rassegna dove sono presenti tutti i costruttori italiani, dall’Alfa Romeo alla Lancia, dalla Bianchi alla OM fino alle lussuose Isotta Fraschini e Maserati. Malgrado la presenza di vetture sportive e di prestigio di grande interesse, ad attrarre il pubblico è lo stand Fiat con l’attrice Giulietta De Riso e il pilota Felice Nazzaro a bordo dell’attesa novità. E’ una berlina quattro posti con carrozzeria mista in legno e ferro che riprende in forma ridotta le linee delle 524 e 525. L’abitacolo, al quale si accede tramite due grandi portiere, è ampio e comodo, in particolare le poltroncine anteriori indipendenti scorrevoli e con schienale ribaltabile. Il motore è un 4 cilindri con raffreddamento “a termosifone”, con basamento e cilindri in ghisa speciale al fosforo manganese con una cilindrata di 995 cc e una potenza di 22 CV a 3.600 giri/minuto (in seguito ridotti a 20). Un’unità silenziosa ed efficiente che consente di viaggiare fino a 80 km/h e di percorrere 100 km con appena 7 litri, quanto una moto o un sidecar. Il cambio con frizione monodisco a secco è a tre velocità, la trazione posteriore, i freni a tamburo e le sospensioni con balestre e ammortizzatori idraulici.
Come promesso dalla dirigenza Fiat, il listino è contenuto: la berlina costa appena 10.800 lire, contro i 18.500 della 509 e gli oltre 28.000 dell’ Alfa Romeo 6C e i 32.000 della Lancia Artena, modelli più potenti e di maggiore prestigio ma che rappresentano l’offerta “base” dei due marchi. Inoltre, per agevolare l’acquisto è previsto il pagamento rateale, un espediente efficace, ma che non è in grado di attrarre braccianti, operai e impiegati di basso livello con una busta paga che di rado supera le 300 lire al mese. A potersi permettere la Balilla sono funzionari e i dipendente di fascia alta con stipendi che oscillano tra 600 e 1.000 lire. Importo, quest’ultimo, molto ambito e che darà vita alla famosa canzonetta “Mille lire al mese” interpretata da Gilberto Mazzi. Un traguardo retributivo che permette pure di scegliere per le più raffinate finiture della versione lusso o il pacchetto “extra” (1.150 lire) che, tra l’altro, include fanale d’arresto, orologio, interni in pelle, baule metallico esterno, seconda ruota di scorta e cerchi a raggi. Contenuti pure i costi di manutenzione grazie alla progettazione che prevede il rapido accesso a tutti gli organi meccanici, compreso il serbatoio della benzina “fissato”, come scrive Marco Garelli su L’Auto Italiana, “in modo senza dubbio geniale e pratico perché in un tempo minimo si può estrarre e pulire delle impurità che vi si accumulano durante l’uso della macchina”. Accorgimenti che riducono i tempi di verifica e di sostituzione e, di conseguenza, i costi di manutenzione. Inoltre, la maggiore leggerezza rispetto alla 509 (680 kg anziché 850) consente consumi ridotti, tanto che il costo chilometrico è calcolato in 35-40 centesimi di lire, cioè in appena 10 centesimi se si viaggia in quattro. Una spesa irrisoria considerato che il biglietto del tram ammonta a 50 centesimi.
… Che meraviglia questa vettura ….. questa é l’Italia di cui siamo orgogliosi !
Fonte: Per gentile concessione, estratto da https://it.motor1.com/