Alle prese con l’ennesima (e sempre più amara) battuta d’arresto sulle sanzioni al petrolio russo, l’Europa non vuole lasciare «nulla di intentato per la ricostruzione dell’Ucraina». Compreso l’utilizzo degli asset russi sequestrati all’estero, da confiscare per finanziare un maxi-programma di aiuti coordinato da Bruxelles e Kiev. Tanto che già oggi la Commissione europea presenterà le sue proposte di lavoro per accelerare sul fronte degli espropri.
Le tappe
Intervenendo ieri al World Economic Forum di Davos, in Svizzera davanti il gotha mondiale della finanza internazionale, la presidente dell’esecutivo Ue Ursula von der Leyen si è soffermata sullo scenario della confisca dei beni russi finora congelati in applicazione delle sanzioni decise dall’Ue: un’evoluzione naturale delle restrizioni, già adottata un mese fa dal Congresso dagli Stati Uniti, che consentirebbe di far cassa mettendo all’asta gli asset degli oligarchi e utilizzando le riserve della Banca centrale.
«L’Ucraina deve vincere la guerra – ha scandito von der Leyen – e l’aggressione di Putin deve rivelarsi un fallimento strategico. Faremo tutto il possibile per fare in modo che gli ucraini prevalgano e riprendano il futuro nelle loro mani». A cominciare dalla creazione della «piattaforma di ricostruzione guidata dall’Ucraina e dalla Commissione».
Per il breve termine, Bruxelles ha già messo sul tavolo «oltre 10 miliardi di euro in assistenza macrofinanziaria. Si tratta di un’operazione di soccorso economico senza precedenti nella storia recente, il più vasto pacchetto di questo tipo mai concepito dall’Ue per un Paese terzo»: e ieri, in attesa della definizione dei profili tecnici, gli Stati membri riuniti nell’Ecofin sono tornati a esaminare la proposta dell’esecutivo – fatta di sovvenzioni, ma anche di prestiti -, la cui prima tranche arriverebbe nelle casse di Kiev entro luglio. «Ma è necessario fare di più» per «aiutare l’Ucraina a risorgere dalle ceneri», ha riconosciuto von der Leyen, evocando, sulla scia del G7 finanziario della scorsa settimana, la prospettiva di un Piano Marshall per Kiev. Sulla veste che dovrebbe assumere il sostegno Ue alla ricostruzione del Paese, però, non c’è identità di vedute tra i Ventisette. «La ricostruzione dovrebbe combinare investimenti massicci con riforme ambiziose», ha ricordato dal palco di Davos la presidente della Commissione. Un binomio, quello investimenti-riforme, che ricalca i due pilastri fondamentali attorno a cui è costruito il Recovery Plan pandemico Next Generation EU, con i suoi oltre 800 miliardi di euro a beneficio dei bilanci nazionali fino al 2027 raccolti dalla Commissione sui mercati. A raffreddare l’attivismo di Bruxelles sulla possibilità di replicare, a meno di due anni dalla decisione storica del luglio 2020, un maxi-piano di ripresa finanziato con debito pubblico comune europeo, però, ci ha pensato la Germania del ministro delle Finanze Christian Lindner, tornato a schierare Berlino nel campo dei falchi di stretto rito. «Quella è stata un’operazione una tantum», aveva precisato dalle colonne del Financial Times nei giorni scorsi. Prudenza e apposizione di fatto a una nuova emissione di Eurobond riprese anche dalla collega olandese Sigrid Kaag.
L’impegno
E mentre pensa alla strategia per la ricostruzione, Bruxelles conferma l’impegno per contrastare la doppia offensiva ibrida della Russia, con Mosca che «ha trasformato in armi le sue forniture energetiche e alimentari». Sull’embargo al petrolio, tuttavia, si preannuncia già l’ennesima fumata nera pure al summit dei leader della prossima settimana a Bruxelles, con l’Ungheria di Viktor Orbán che tiene ostaggio il sesto pacchetto di sanzioni che contiene anche lo stop al greggio di Mosca. Il leader magiaro ha chiesto, in una lettera indirizzata a Charles Michel, che il tema non venga discusso al Consiglio europeo del 30-31 maggio. «Inutile dare false aspettative», ha ammesso la presidente della Commissione in un’intervista a Politico, escludendo un’intesa a stretto giro, per cui serve l’unanimità. «Le principali difficoltà sono tecniche, e riguardano le forniture di petrolio per un Paese senza sbocco sul mare, ma c’è anche un elemento politico da discutere, e riguarda quanto gli altri governi vogliono concedere a Budapest in termini di investimenti».
Fonte: Il Messaggero – Gabriele Rosana – 25 Maggio 2022
hahahaha…. che palle ragà! Voglio proprio vedere….
Come se la comunità internazionale di criminali, avesse diritto di confiscare gli asset russi in paesi esteri. Roba da pazzi ….